I dati degli ascolti del Festival di Sanremo dicono che molti di quelli che si vantano di non vederlo, poi non aspettano altro per poterlo criticare. Insomma, un atteggiamento girato al negativo che sui social conosciamo già: sminuire per sentirsi migliori.
Ognuno la pensi come vuole ovviamente. Personalmente quest’anno, visto che il festival lo seguo “in famiglia” grazie anche a qualche soffiata sulla scaletta dettagliata di ogni giornata, me lo sono goduto di più. Poi, sia chiaro, a un certo punto il sonno prendeva il sopravvento, anche abbastanza presto per me e il resto, nel caso, lo leggevo il giorno dopo sul giornale.
Alcune cose mi piace appuntare perché mi potranno essere utili per il prossimo anno.
- Le canzoni ho iniziato a sentirle tutte già dal primo giorno nella playlist su Spotify (o dove vi pare). L’ho fatto per iniziare a orecchiarle e togliermi di dosso quella sensazione istintivamente negativa che ho la prima volta che ascolto un brano.
- Sentire le canzoni alla radio, perlomeno senza vedere il cantante e come si concia al Festival, mi fa bene, visto che mi toglie un pregiudizio che farei fatica a scollare dal valore in sé della canzone.
- Un brano “alla radio”, non dal vivo, è eseguito perfettamente; quindi, è al netto del contesto festival. Per me è meglio e finisco con l’apprezzarlo di più. Se poi l’interprete sul palco sarà bravo e simpatico, tanto meglio.
Il risultato è stato che, per i quattro giorni del Festival, come ho potuto seguirlo comunque, mi sono goduto quel che capitava cercando di essere ben disposto verso ciò che osservavo e sentivo. In fondo se mia figlia stravede per Tony Effe e a me sta sul cavolo perché ha quell’espressione strafottente e infastidita di essere lì, ma poi canta una canzone che potrebbe essere di Nino Manfredi, che m’importa? È comunque una tendenza di cui devo tener conto per non ignorare un nuovo Vasco Rossi o chissà.
Nella carrellata di articoli che ho letto un po’ di tutti ho imparato tanto, ma qualche giornalista troppo snob forse dovrebbe darsi una calmata. Altrimenti fa la figura del sommelier che ha dato del vino di gran cantina, a occhi chiusi, a un Tavernello (con tutto il rispetto) appena uscito dal cartone.