Anzi, margherita. Ma cambia poco.
Ho sempre mangiato la pizza passeggiando, a Roma è cosa normale (tipo quando si usciva da scuola), tant’è che molte pizzerie una volta nemmeno prevedevano delle sedie. Ordini, paghi e te la danno con quella carta oleata che ti protegge dall’ungerti le mani ma diventa una diga che quando l’olio è troppo uno sfogo lo trova e addio giacche, pantaloni e così via.
Col tempo si acquisisce abilità e sporcarsi è difficile, roba da bambini.
Invece ho scoperto che a Varese la pizza a taglio te la mangi sul posto, che te la danno su un foglio di carta oleata, lì bella aperta e devi fare acrobazie. Se ti va bene te la mettono in un cartone. Come fosse una crêpe.
E pensavo che fosse un’abitudine di qualche pizzaiolo finché oggi ne ho avuto la conferma.
Venivo da una di quelle presentazioni dove c’è pure il buffet che ti dicono “hai pranzato?”.
Spizzichi un po’ mentre chiacchieri ma pare brutto sfondarsi a gomiti larghi, col rischio di rispondere alle chiacchiere soffiando molliche sull’interlocutore. Per cui a un certo punto dici “no grazie” anche se porteresti il vassoio in un angolo per rimboccarti le maniche e fargli vedere come si fa.
Quindi è stata l’occasione per provare quella pizzeria di strada tornando dalla stazione di Varese.
Te la metto in un cartone la pizza?
No signora, me la ripiega nella carta così la mangio mentre vado
Ah, ma come, così?
Le ho dovuto spiegare tutto, pensavo fosse uno scherzo. I due pezzi di pizza piegati uno sull’altro con il condimento a contatto.
C’è anche un altro signore che me la chiede così.
Insomma, era la prova che qui questa cosa non si usa, eppure è pratica, no?
Ed è anche utile: si mangia mentre si cammina, ottimizzando i tempi e quando si torna alla base si è già pronti per chinarsi sul fatturato. A pensarci bene è pure molto “milanese” o no?
Eddaje!