Finisce un anno scolastico ingarbugliato tra lezioni in presenza e altre a distanza, a volte contemporanee, tirate, compresse, stiracchiate, sbadigliate e imposte nell’ansia di voler finire un programma a tutti i costi a prescindere dagli strappi mal sopportati da studenti e – ahimè – anche insegnanti.
Rifiuto della didattica a distanza: alla fine si è arrivati, di nuovo, a questa affermazione. Mai più, per carità.
Buttando allegramente alle ortiche tutte le opportunità che pure ci sarebbero da un modo diverso di fare lezione, sicuramente non bastante per intero, ma certamente complementare alla didattica in presenza.
A patto, però, di prendere atto dell’opportunità e non del ripiego come troppi vedono la DAD.
Perché un ripiego?
Perché è stata utilizzata in situazione di emergenza con poca o nessuna preparazione dagli utenti e vista sempre come un’alternativa provvisoria a testimoniare un momento di emergenza. Chi vorrebbe proseguire con un “meglio che niente”?
Un problema, intanto, è qui. Si è arrivati alle lezioni a distanza (ma anche al lavoro a distanza) in maniera sconclusionata e confusa, chi aveva qualche conoscenza informatica, tra i docenti, ha bruciato qualche tappa, gli altri a inseguire un po’ impiccati sperando che finisse il prima possibile.
Gli studenti smarriti e rintronati senza una guida precisa se non alcune informazioni di base.
In emergenza andava pure bene così.
Poi è finito quel primo anno scolastico e si è giurato: mai più didattica a distanza. Avanti col nuovo anno, in presenza, ma distanziati, compriamo i banchi, anzi no: riadattiamo quelli che ci sono. Altra confusione e altro avvio e oh no: ancora la DAD di necessità.
E qui, all’emergenza, si è sostituita la cialtroneria. Quel che, col primo lockdown, era stato gestito alla disperata e come si poteva, è stato ripreso da dove si era lasciato. I mesi di pausa estiva non sono stati utilizzati per comprendere, capire, evolversi. In una parola: prepararsi.
Didattica a distanza era una parola tabù, il male assoluto, l’evocazione di una disgrazia per tutti.
Quindi si è ripartiti da quell’ultimo giorno di scuola, con alcune conoscenze in più e nessun programma organizzato in maniera sistematica. Sì, indicazioni più precise sull’esperienza già fatta, ma sempre nell’idea di un ripiego da abbandonare quanto prima.
Fine dell’anno, vaccini a tutta e forse una via di uscita in fondo. Finalmente.
E ovviamente il solito slogan: disinstallate Zoom, Weschool e Classroom a dimostrare, se mai ce ne fosse stato bisogno, che non abbiamo capito niente e buttiamo un’altra volta via una potenziale opportunità. Una scuola che forse può vedere rielaborata completamente la didattica, integrata con nuovi strumenti, non sostituita.
E intanto abbiamo studenti in difficoltà con la posta elettronica, che della parola “cloud” hanno, nel migliore dei casi, un’idea vaga, che si perdono di fronte a un “manda un pdf”. Studenti che domani vorranno lavorare e non potranno scappare da un computer.
E quando se ne renderanno conto, forse, li avranno già sorpassati.