Sto usando Spotify assiduamente da un po’ di tempo e praticamente mi sto incastrando nel suo algoritmo che sta imparando a conoscermi sempre di più. Per cui, dopo avergli dato in pasto un po’ di ricerche e messo qualche like ai brani che iniziava a propormi casualmente, ecco che spotify ha iniziato a prendere forma. E, visto quel che ha iniziato a propormi, me lo sono immaginato con le fattezze dell’armadillo di ZeroCalcare.
“Ma ‘n te vedi come stai? Sèntite questa dai… arovinato”.
Sì, m’ha beccato anche lo stato d’animo giusto dopo una giornata un po’ esaurita.
Mica male eh, capita anche a voi?
Dice che si chiamano algoritmi, gli stessi che fanno imparare al Garmin come stai dopo che ci esci un po’ di volte con cardiofrequenzimetro e – magari – col misuratore di potenza. Quello sta lì, registra i tuoi dati, quanto acceleri, quanto vai piano in salita e come pedali su quel percorso e come varia il battito del cuore nei diversi frangenti e a un certo punto, pure lui, ti mette una mano sulla spalla e ti dice “lascia perdere”. Oppure accelera, oppure oggi riposati e domani fai tot chilometri per migliorare.
Insomma niente. Siamo circondati da algoritmi che ci mettono un braccio sulla spalla e ci guardano. A volte sconsolati.